L’oggi di questa chiesa mostra un ordine costruttivo immediatamente visibile, come risultato di tanti interventi, consapevoli e sofferti, ricercati e ottenuti, talvolta involontari, eppure mirabili, almeno negli effetti delle combinazioni di azioni assommatesi nel tempo. Quel che si rivela è un’armonia delle forme geometriche e un utilizzo ordinato delle sequenze numeriche, concentrati di conoscenze artistiche e di tecniche costruttive, e per esse di apertura alla rappresentazione simbolica degli ampi ventagli dei valori cristiani, soprattutto medievali.
La chiesa in fondo è un luogo liturgico, spirituale, d’azione pastorale, prima che luogo d’arte e di storia, dove la bellezza artistica ricercata non è mai fine a se stessa, ma tentativo di rappresentare, pur con i limiti umani, un qualcosa che appartiene all’ordine sovrannaturale, tale da favorire la relazione tra l’uomo e Dio. Detto ciò a titolo generale, va specificato che la chiesa è un esempio di arte lombarda su schema borgognone.
Dall’esterno ne risulta una struttura romanica a tre navate, costruita in rapporto di uno a tre, relativamente all’ampiezza alla lunghezza, e audacemente innalzata rispetto alle pareti, esili e appena rafforzate da lesene, orientata secondo le norme ecclesiastiche antiche, priva dì abbellimenti ma resa sobria dall’uso del cotto a vivo. Un’analisi attenta mostra una dissomiglianza tra il lato sud e quello nord, come se quest’ultimo fosse stato inglobato e adattato nel nuovo disegno (vi è anche che anche la possibilità che da questo lato vi sia una costruzione precedente cui si sovrappone in parte la chiesa). Uno schema cluniacense -nello specifico la Cluny III edificata tra i secoli XI e XII- rarissimo in Italia e molto frequente nel romanico francese, zona in cui si possono visitare chiese simili alla nostra, con il gruppo absidale all’esterno (qui la parte più notevole che si contrappone alla trascuratezza della facciata rifatta e giustapposta al corpo di fabbrica, senza troppe attenzioni, in epoca moderna) che all’interno diventa triade di cappelle radiali, intervallate d nicchie e interspazi ben ordinati e dimensionati che s’interfacciano al portico di sette archi che suddividono con buona approssimazione una figura di semicerchio, la copertura lignea a capriate, l’illuminazione tenue e funzionale al raccoglimento data dal sapiente inserimento delle monofore e delle bifore coperte dall’alabastro. Lo schema costruttivo descritto è quello databile al 1125, quando la chiesa primitiva, forse rintracciabile nell’attuale coro, volutamente preservata, fu ampliata secondo le suddette regole cluniacensi.
Lo attestano due epigrafi: l’una sulla parete destra dell’endonartece dove dopo un’acclamazione alla Panagia Sancta (la Madonna colmata dallo Spirito Santo) si aggiunge che Adenolfo, eletto nel 1125 abate di Farfa, al termine di lunghe diatribe che portarono l’abbazia reatina sotto il controllo pontificio, edificò questa chiesa, in altre parole la consacrò al culto con la postura di nuove reliquie, equivalenti a una specie di seconda fondazione; l’altra in controfacciata della cantoria del piano superiore, ora coperta da un organo inappropriato, che riporta la medesima data.
La chiesa era adatta ai movimenti processionali degli uffici monastici benedettini, e pure al successivo peregrinare dei fedeli sulle rotte lauretane.
Ora, all’ingresso si mostra anche un presbiterio superiore, cui si accedeva da una scalinata ampia quanto tutta la navata centrale, elevata a partire del terzo arco, che è la più grande fra le opere di rifacimento fatti tra secondo Trecento e il primo Quattrocento.
Ora, questa è stata demolita nel corso dei restauri del Novecento nel tentativo di ricostruire il disegno originario. Il presbiterio superiore sta sul livello dei matronei, sovrastanti le navate minori e, con una differenza di pochi gradini, della cantoria, così che anche su questo livello si ripete un deambulatorio con le funzionalità processionali e peregrinanti.
Il motivo di tale costruzione era di garantire la stabilità dell’edificio (e non il pericolo invasivo dell’acqua del fiume che scorre e scorreva anche in passato quattro metri sotto il livello, non presentando, così, alcun pericolo per l’edificio), problema comune alle chiese cluniacensi, troppo ardite in altezza e con il problema delle ricadute verso l’interno.
Gli altri interventi sono consistiti nell’innalzamento della chiesa, nel tamponamento degli archi del piano superiore, nella creazione del catino absidale da affrescare e nel rifacimento della zona dell’emiciclo superiore che si sovrappone in modo minore all’altro. Il piccolo campanile a vela aggiunto ospita la campana che sarà descritta in apposita sezione. Per altri versi, si può dire anche che la chiesa è quattrocentesca pur mantenendo l’anima di quella d’inizio secolo XII. Per il resto, si tratta d’interventi di restauro, consolidamento e adattamento alla normativa liturgica e talvolta legati ala stessa sopravvivenza del sito. Il Novecento in particolare è il tempo dei restauri, almeno tre e anche quattro se si considerano quelli a cavallo del nuovo Millennio. Tutti, nel loro insieme, hanno garantito la stabilita della chiesa, sorte che ad altre chiese del territorio non è toccata.
Meridiana
Il lato meridionale della chiesa nonostante sia stato fortemente rimaneggiato, presenta ancora di fianco alla facciata una meridiana in pietra bianca del secolo XII nella quale risulta la suddivisione romana del giorno in prima, terza, sesta, nona e vespro, indicate rispettivamente dalle lettere T, S, N. Accanto ad esso è incastonato un mattone nel quale compare l’incisione: “1509 de marzo”; l’iscrizione non è chiara ma sembra riferirsi ad un restauro della chiesa, anche perché il Consiglio Generale di Montecosaro in questo periodo decise di dare inizio ai lavori per la riparazione del tempio. Sullo stesso fianco all’altezza dell’ultima campata, si innesta una porzione di fabbricato, perpendicolare alla navata, da considerarsi come l’unico frammento superstite del monastero.